Gli effetti dell’immigrazione sui conti dei Comuni italiani tra 2008 e 2015
Un’analisi della Banca d’Italia firmata da Rama Dasi Mariani, Anna Maria Mayda, Furio Camillo Rosati e Antonio Sparacino, pubblicata nella serie Temi di Discussione (n.1494, ottobre 2025), ribalta molti pregiudizi sul rapporto tra immigrazione e spesa pubblica. Lo studio, basato su dati amministrativi relativi a quasi 7.000 Comuni italiani tra il 2008 e il 2015, dimostra che l’arrivo di cittadini stranieri ha avuto un impatto positivo sulle entrate locali pro capite, senza generare effetti negativi sulla spesa complessiva.
Le entrate crescono, le spese restano stabili
Il lavoro evidenzia come l’immigrazione abbia determinato un aumento delle entrate totali dei Comuni, mentre le uscite non mostrano variazioni significative. Il saldo positivo deriva principalmente da maggiori introiti fiscali legati alla tassazione immobiliare (ICI/IMU), dovuti in gran parte agli affitti di abitazioni a cittadini stranieri.
Gli autori sottolineano che l’imposta sugli immobili in Italia (ICI/IMU) si basa su valori catastali fissi e che le abitazioni principali sono generalmente esenti. Poiché gli immigrati sono meno spesso proprietari di casa rispetto agli italiani, la loro presenza comporta un aumento delle unità abitative affittate, e dunque tassate come “seconde case”. Ne consegue un ampliamento della base imponibile e un incremento del gettito, senza modifiche rilevanti delle aliquote.
Nessun effetto sulle imposte sul reddito
Lo studio mostra che le entrate da addizionale comunale IRPEF (circa il 5% delle entrate correnti) non subiscono variazioni. Pur registrandosi una lieve diminuzione del reddito medio, legata al fatto che gli immigrati tendono a occupare lavori meno qualificati, i Comuni non compensano con aumenti d’imposta. L’effetto netto è quindi neutro, ma accompagnato da un rafforzamento complessivo del gettito immobiliare e dei trasferimenti statali.
Una diversa composizione della spesa
Sul versante delle uscite, la ricerca non rileva incrementi complessivi, ma una ricomposizione interna: crescono le spese correnti (per rifiuti, polizia locale, cultura e trasporti pubblici) e diminuiscono quelle in conto capitale, cioè gli investimenti. Tale dinamica è coerente con i vincoli imposti dal Patto di stabilità interno, che obbligava i Comuni a mantenere bilanci in equilibrio e limiti di spesa.
In pratica, le amministrazioni locali hanno finanziato un maggiore consumo di servizi pubblici correnti senza aggravare i conti, destinando meno risorse a investimenti infrastrutturali ma migliorando la gestione dei servizi quotidiani.
L’effetto sull’equilibrio di bilancio
Tra il 2008 e il 2015 la quota media di popolazione immigrata nei Comuni italiani è passata dal 5,5% all’8,2%. Secondo le stime della Banca d’Italia, questa variazione ha prodotto un incremento medio delle entrate pro capite di circa il 42% (≈ 600 euro per abitante) e un aumento dell’avanzo di bilancio locale. In altre parole, l’immigrazione ha contribuito a migliorare la salute finanziaria delle amministrazioni comunali.
Un impatto strutturale positivo
I ricercatori concludono che, nel contesto italiano, l’immigrazione regolare ha effetti fiscali positivi e sostenibili, smentendo l’idea che la presenza straniera comporti costi eccessivi per le comunità locali. Al contrario, gli immigrati rafforzano la base imponibile e sostengono la domanda di servizi pubblici, senza pesare sui conti comunali.
Un risultato che invita a superare i luoghi comuni e a considerare la mobilità internazionale come un fattore di stabilità e crescita per le finanze pubbliche locali, purché accompagnata da politiche di integrazione e di gestione territoriale efficiente.