Quanto accaduto, pochi giorni fa, davanti ad una frequentata sinagoga di Manhattan, con gruppi a favore della Palestina a scontrarsi verbalmente, e anche oltre, con dei fedeli israeliti, è l'ennesimo anello di una lunga catena di episodi che rendono sempre più sottile il confine della protesta a favore delle popolazioni della Striscia tra la contestazione delle politiche di Israele e l'antisemitismo.
Negli Stati Uniti è ormai sottile la linea tra il sostegno alla Palestina e l'antisemitismo
Non è questione da poco, soprattutto a New York, città tradizionalmente libera, accogliente, aperta a tutti, che ora vede imminente l'arrivo a City Hall del prossimo sindaco, Zohran Mamdani, socialista, ma soprattutto musulmano e anche dichiaratamente accanto ai palestinesi.
Lui, sia in campagna elettorale che anche dopo essere uscito vincitore dalla contesa delle urne, ha ripetuto di volere essere il sindaco dell'intera comunità della Grande Mela e, quindi, di tutte le sue componenti, anche quelle etniche e religiose.
Ma i gruppi di pressione ebrei non sono disposti a dargli un assegno in bianco, aspettandolo al varco, quando ogni sua azione, ogni sua uscita pubblica, ogni parola pronunciata sarà vivisezionata per vedere se intende dare seguito alle sua affermazioni.
Mamdani ha vinto comunque con un ampio margine nonostante l'opposizione dichiarata della potente lobby ebraica, che ha superato i confini geografici della città, con un cartello di rabbini e influenti rappresentanti delle comunità israelite del Paese che hanno chiesto di non votarlo.
Ma questo è ieri, mentre oggi tornano a crescere le preoccupazioni per una ventata di palese anti-semitismo che attraversa gli Stati Uniti, dove si moltiplicano le manifestazioni contro Israele e gli ebrei, senza alcuna distinzione tra chi appoggia il governo e le politiche di Benjamin Netanyahu e chi invece sostiene la Terra dei Padri per il fatto stesso di volerne la continuità, storica e religiosa.
L'attacco di Hamas del 7 ottobre di due anni fa, che ha scatenato la devastante e sanguinosa risposta di Israele, ha fatto da elemento detonante di un sentimento strisciante.
Per questo non deve certo sorprendere se, solo nell'area di New York, gli episodi di intolleranza verso gli ebrei si sono moltiplicati, raggiungendo numeri e intensità che mai si erano registrati, se non per fatti alimentati da singoli e non quindi parte di una strategia.
La contestazione davanti alla sinagoga Park East a Manhattan, frutto di un tam-tam sui social e del passaparola tra gli appartenenti a gruppi dichiaratamente a favore della Palestina, non è stata solo uno scambio di insulti e minacce, quanto la conferma che essa è rivolta a tutto cioè che è ''targato Israele''.
Perché, nella sinagoga, si stava svolgendo un evento organizzato da un ente, Nefesh B'nefesh, che aiuta gli ebrei che vogliono trasferirsi in Israele, ma non negli insediamenti, fucina delle violenze dei coloni.
Quindi una organizzazione che riporta a Israele, ma che nulla ha a che fare, almeno ufficialmente, con le politiche del governo di Gerusalemme, operano da molto tempo prima dell'arrivo di Netanyahu.
Un ennesimo segnale che ormai, tra i due schieramenti, si è determinata una frattura che nulla ha da spartire con la politica o che, in qualche modo, di essa si serve per antichi odi.
Gli attacchi alle sinagoghe seppure gravissimi, seppure potenzialmente devastanti, non possono essere circoscritti a fatti di cronaca, figli di una contrapposizione religiosa. Sono invece il segnale di quel che potrebbe accadere.
Come ha fatto capire l'attentato ad una delle principali sinagoghe di Manchester, dello scorso ottobre, per mano di un ''signor nessuno'', uscito di casa solo per ammazzare qualche ebreo.