Oggi ci troviamo nel mezzo di una trasformazione digitale radicale, che sta cambiando la vita di persone e popoli. Di fronte alla quale sorge una domanda fondamentale: quali relazioni sociali, quali norme legali e politiche, quali istituzioni emergeranno da questo sconvolgimento? E, ancor più importante, come sarà possibile gestire tale cambiamento epocale? Anche perché è nata una vera e propria nuova ideologia: il Cyberlibertarianismo.
In questa prospettiva si fonda un entusiasmo quasi fanatico con idee radicali di libertà, vita sociale, economia e politica nell'era digitale.
Si tratta di una ideologia di tipo determinista tecnologico, secondo il quale la tecnologia digitale sarebbe il nostro destino, ponendo enfasi sulla necessità per gli individui di liberarsi da ogni vincolo che possa ostacolare la ricerca del proprio interesse personale. Si ha la fiducia che il regno digitale offra infinite opportunità per raggiungere ricchezza, potere e piacere. Le strutture ereditate di organizzazione sociale, politica ed economica sono viste come barriere da abbattere.
Fondamentali per l'ideologia cyberlibertaria sono i concetti del capitalismo di offerta e di libero mercato. Questa scuola di pensiero, riformulata dal Nobel per l’economia Milton Friedman e dagli economisti di Chicago, vede l’unione del libero mercato con il superamento della materia da parte della tecnologia digitale come uno sviluppo che libera l'umanità generando ricchezza senza precedenti. Si crede che l’essere digitale possa “appiattire le organizzazioni, globalizzare la società, decentralizzare il controllo e armonizzare le persone”.
In questo nuovo contesto sociotecnico, l'autorità del governo centralizzato e delle burocrazie è destinata a svanire. La cosiddetta democrazia del cyberspazio “darà potere a chi è più vicino alla decisione”, cioè a una ristretta élite.
Il cyberspazio non viene interpretato come bene comune, ma come proprietà privata. Le entità protagoniste di questa ideologia sono le grandi aziende transnazionali, in particolare nel settore delle comunicazioni.
Questo porta a una concentrazione di potere senza precedenti sui canali di informazione e sui contenuti. Una realtà che oggi minaccia la democrazia, quando pochi soggetti controllano tutto. Ma è questo il tipo di società digitale che vogliamo?
Siamo all'alba di una nuova rivoluzione industriale, in cui cambiano radicalmente il lavoro, i rapporti umani, le relazioni con le macchine e le dinamiche di potere. Occorre cercare un equilibrio tra tecnologia, etica e umanità. Sarebbe un grave errore credere che, in un mondo sempre più digitalizzato e automatizzato, si possa fare a meno della consapevolezza umana, della capacità critica, del coraggio, della creatività.
È proprio in questo scenario che Robert Francis Prevost ha scelto di prendere il nome di Leone XIV. “Diverse sono le ragioni – ha detto – di questa scelta, però principalmente perché il Papa Leone XIII, con la storica enciclica Rerum Novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima rivoluzione industriale. Oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un'altra rivoluzione, quella dell’intelligenza artificiale, che comporta nuove sfide per la dignità umana, la giustizia e il lavoro.”