Il mercato immobiliare di Tokyo e dell'intero Giappone sta vivendo un momento di euforia, quella che gli operatori del settore definiscono una vera e propria frenesia, ponendo alcuni interrogativi su come lo Stato debba muoversi per regolare, ad esempio, il capitale straniero che cerca di entrare in questo importante segmento dell'economia.
Il Giappone alle prese con un mercato immobiliare con prezzi alle stelle
I numeri non hanno bisogno di grandi commenti. Nel 2024, il prezzo medio dei nuovi condomini nei 23 Comuni nel cuore della Grande Tokyo ha raggiunto i 111,81 milioni di yen (circa 760.000 dollari), secondo il rapporto del Real Estate Economic Research Institute pubblicato all'inizio di quest'anno.
Il prezzo medio – un indicatore migliore del mercato – è stato di 89,4 milioni di yen, peraltro con un aumento del 9% rispetto all'anno precedente.
Su base mediana, i prezzi dei condomini nei 23 quartieri di Tokyo sono aumentati di circa il 64% dal 2021 al 2025, superando di gran lunga l'aumento del 26% nell'area metropolitana della capitale.
A fronte di questa secca accelerazione dei prezzi delle abitazioni, i livelli di reddito del Giappone rimangono bassi rispetto a quelli di altri Paesi sviluppati, con un salario minimo più debole e uno dei più ampi divari retributivi di genere, che rendono l'accessibilità economica una preoccupazione.
Un altro dato sul quale riflettere riguarda il fatto che, sempre lo scorso anno, il Giappone si è classificato al 25° posto su 34 membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l'Ocse, sulla base di un salario medio annuo corretto per la parità di potere d'acquisto, a 49.446 dollari.
A determinare la corsa sfrenata degli immobili nei principali quartieri di Tokyo hanno contribuito l'aumento dei costi delle costruzioni e del lavoro, con uno yen debole e valutazioni relativamente basse che attirano investitori esteri.
Da qui l'attenzione della politica che, davanti al boom della proprietà urbana, in occasione della campagna elettorale per la Camera Alta, ha cominciato a discutere sull'ipotesi di restrizioni al capitale straniero durante le recenti elezioni della Camera Alta. A differenza di paesi come l'Australia, il Canada e Singapore, il Giappone non ha praticamente restrizioni sulla proprietà di proprietà straniere.
Il Partito Democratico per il Popolo, che ha ottenuto solidi guadagni alle elezioni di luglio, dovrebbe presentare un disegno di legge che limiti gli acquisti immobiliari stranieri. Il suo leader, Yuichiro Tamaki, ha sostenuto che i prezzi delle case nelle aree urbane sono aumentati in parte a causa degli investitori stranieri che acquistano immobili per scopi speculativi non residenziali e ha lanciato l'idea di una "tassa sui posti vacanti" per frenare tali acquisizioni.
Nel frattempo, Sanseitō, un partito populista di destra che propone una piattaforma anti-immigrazione "Japan First", sta preparando la propria proposta per frenare l'acquisizione di terreni stranieri, ma non ha ancora specificato una tempistica per la presentazione.
Con la coalizione di governo che non ha la maggioranza in entrambe le camere della Dieta, le posizioni dei partiti di opposizione sono diventate sempre più critiche nel plasmare i risultati legislativi.
L'esatta portata degli acquisti esteri è difficile da definire, poiché il Giappone non pubblica statistiche ufficiali sulla nazionalità degli acquirenti, ma un sondaggio semestrale pubblicato in marzo ha rilevato che nei quartieri Chiyoda, Shibuya e Minato di Tokyo, dal 20% al 40% dei nuovi appartamenti sono in genere venduti ad acquirenti stranieri.
Mentre la popolazione di Tokyo continua ad aumentare, la popolazione complessiva del Giappone è in calo dal 2008, creando un forte divario nella domanda tra le aree urbane e rurali. E mentre c'è stato un boom immobiliare nelle principali città, il Paese aveva circa 9 milioni di case abbandonate, note come akiya, a partire dal 2023, principalmente nelle regioni rurali.
Queste case, sebbene possono essere acquistati a buon mercato, non soddisfano le esigenze di molti acquirenti domestici per le loro condizioni, perché si trovano lontano da posti di lavoro e servizi o richiedono costosi lavori di ristrutturazione. Lo stigma culturale intorno alle case di seconda mano e il limitato sostegno governativo per la rivitalizzazione ne limitano ulteriormente l'attrattiva.