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Effetto Tokyo: come il Giappone scuote la finanza globale

 
Effetto Tokyo: come il Giappone scuote la finanza globale
Luca Lippi

Spesso percepito come un attore lontano e silenzioso, il Giappone è in realtà una delle pedine più influenti sulla scacchiera economica mondiale. Di recente, un evento apparentemente locale ha innescato un vero e proprio terremoto finanziario, dimostrando quanto le sorti di Tokyo siano intrecciate con quelle del resto del mondo. Stiamo parlando della vittoria di Sanae Takaichi alla guida del Partito Liberal Democratico, un evento che ha dato vita a quello che gli analisti chiamano il "Takaichi trade": un mix esplosivo di borse in rally, yen in caduta libera e rendimenti obbligazionari ai massimi da decenni.

La sua probabile nomina a Primo Ministro ha scatenato una reazione immediata: l'indice Nikkei ha superato i massimi storici, lo yen si è indebolito fino a 152 per dollaro e i rendimenti dei titoli di Stato hanno raggiunto livelli che non si vedevano da oltre vent'anni. Ma per capire la portata di questo cambiamento, dobbiamo prima comprendere il modello economico unico che il Giappone ha seguito per tre decenni.

UN SALTO NEL PASSATO: L'ESPERIMENTO GIAPPONESE DEI TASSI ZERO

Per capire il presente, è necessario fare un passo indietro agli anni '90. Dopo lo scoppio di una colossale bolla immobiliare e azionaria, l'economia giapponese è piombata in una "lunga stagnazione": tre decenni di crescita debole, deflazione (prezzi in calo) e salari fermi.

La risposta della Bank of Japan (BoJ) fu radicale e senza precedenti. Divenne il primo grande Paese a sperimentare politiche monetarie estreme, introducendo tassi a zero, già nel 1999, per incentivare prestiti e investimenti. Un massiccio Quantitative Easing nel 2001 – ben prima della FED americana o della BCE europea – per stampare moneta, acquistare asset e iniettare liquidità nel sistema. Tassi negativi nel 2016 - arrivò a fissare i tassi sui depositi a -0,1 per cento - di fatto pagando per prestare denaro.

Questo modello, noto come Abenomics (dal nome dell'ex Primo Ministro Shinzo Abe), si basava su tre pilastri: liquidità illimitata, stimoli fiscali e riforme strutturali. Se da un lato ha evitato una recessione profonda, non è mai riuscito a riaccendere una crescita robusta. Il sistema funzionava solo perché un elemento chiave era assente: l'inflazione. Finché i prezzi rimanevano stabili o in calo, il Giappone poteva permettersi di mantenere il costo del denaro a zero.

IL RISVEGLIO DELL'INFLAZIONE E IL DILEMMA DELLA BOJ

La pandemia ha cambiato le carte in tavola. Le massicce iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali di tutto il mondo hanno scatenato un'ondata inflazionistica globale che, inevitabilmente, ha raggiunto anche il Giappone, mandando in cortocircuito il modello preesistente.

Mentre FED e BCE reagivano alzando aggressivamente i tassi d'interesse per combattere l'inflazione, la Bank of Japan si è trovata con le mani legate. Il motivo principale è il colossale debito pubblico giapponese, che ha raggiunto il 260 per cento del PIL, il più alto tra le economie sviluppate. Alzare i tassi in modo significativo farebbe esplodere il costo per finanziare questo debito, mettendo a rischio la stabilità finanziaria del Paese.

A questo si aggiunge un altro fattore: la debolezza dello Yen. L'enorme differenza tra i tassi giapponesi (vicini allo zero) e quelli americani o europei (intorno al 4-5 per cento) ha causato un crollo della valuta giapponese, che ha perso oltre il 50 per cento del suo valore rispetto al dollaro dal 2020. Se da un lato uno yen debole avvantaggia le esportazioni, rendendo i prodotti di aziende come Toyota o Sony più convenienti all'estero, dall'altro rende le importazioni molto più costose. E il Giappone importa quasi tutta la sua energia. Il costo crescente dell'energia si è trasferito direttamente sui prezzi al consumo, alimentando ulteriormente l'inflazione.

È un cane che si morde la coda: non alzare i tassi indebolisce lo yen e aumenta l'inflazione; alzarli rischia di far saltare il banco a causa del debito. Il nuovo governatore Kazuo Ueda ha rotto il tabù con un rialzo simbolico, segnando la fine di un'era, ma la strada per la normalizzazione è piena di ostacoli.

L'EFFETTO GLOBALE: LA FINE DEL "CARRY TRADE"

Per decenni, il Giappone è stato la "banca silenziosa del mondo". Gli investitori globali hanno approfittato del cosiddetto yen carry trade: un meccanismo semplice ma potente. Prendevano in prestito yen a un costo quasi nullo, li convertivano in dollari o euro e li investivano in asset più redditizi, come i titoli di Stato americani (Treasury).

Questo flusso di denaro ha finanziato per anni una fetta enorme del debito pubblico statunitense, contribuendo a mantenere bassi i tassi di interesse a livello globale. Ora, con i timidi rialzi dei tassi in Giappone e i costi di copertura valutaria in aumento, questo gioco non è più redditizio. Gli investitori giapponesi stanno rimpatriando i capitali, vendendo asset esteri per reinvestire in patria.

Le conseguenze sono enormi: meno domanda per i titoli americani significa rendimenti più alti negli Stati Uniti, con un impatto a catena su mutui, prestiti e valutazioni azionarie in tutto il mondo.

LA SVOLTA DI TAKAICHI E LE PROSPETTIVE FUTURE

In questo scenario già complesso si inserisce la politica economica di Sanae Takaichi. Il suo programma è una versione "turbo" dell'Abenomics: un'aggressiva espansione fiscale finanziata con nuovo debito per stimolare settori strategici. Questa politica piace ai mercati azionari nel breve termine, ma alimenta i timori sull'inflazione e sulla sostenibilità del debito a lungo termine.

Ci troviamo di fronte a un'incertezza crescente, non solo in Giappone ma a livello globale. Dalla paralisi politica negli USA alla recessione tecnica in Germania, le principali economie mostrano segni di fragilità. Le banche centrali sono costrette a considerare nuovi tagli dei tassi per sostenere le economie, il che significa più liquidità e valute sempre più deboli. In questo caos, un asset si è distinto: l'oro. Il metallo giallo ha superato nuovi record, spinto da tassi di interesse reali bassi, dalla sua natura di bene rifugio e dagli acquisti record da parte delle banche centrali, che cercano di diversificare le loro riserve e ridurre la dipendenza dal dollaro.

UN EQUILIBRIO FRAGILE

Il caso del Giappone è l'esempio perfetto di come politica, debito e liquidità siano intrecciati in un equilibrio fragile. Il messaggio è chiaro: il sistema finanziario globale si regge sempre più sulla fiducia e sempre meno sui fondamentali economici. In un mondo dove le valute tradizionali perdono potere d'acquisto, asset reali come l'oro rappresentano una delle poche ancore di stabilità.