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Frontalieri e sanità: il nodo del contributo sanitario

 
Frontalieri e sanità: il nodo del contributo sanitario
Redazione

La questione del contributo di compartecipazione dei frontalieri

Silvana Snider, assessore regionale della Lega di Chiavenna, paese a nord del lago di Como, ha segnalato nuovamente alla sua comunità civica e all’attenzione pubblica il caso dei frontalieri. La vexata quaestio è se i frontalieri debbano o meno pagare il servizio sanitario nazionale italiano.

Secondo il regolamento dell’Unione Europea, il servizio sanitario è legato al luogo di lavoro. La Svizzera consente ai detentori di permesso G – ossia ai cittadini dell’UE o dell’area economica di libero scambio che esercitano un’attività lucrativa entro la zona di frontiera svizzera – di scegliere se avere il servizio nella Confederazione Elvetica (con trattenuta in busta paga della cassa malati) o se averlo nel proprio Paese di domicilio.

Dal 2023 il Governo italiano, dopo le verifiche opportune anche a seguito di nuove disposizioni fiscali per i nuovi frontalieri, ha ritenuto opportuno applicare un contributo ai frontalieri che optano per il sistema sanitario italiano, che varia dal 3% al 6% del reddito, con cifre che devono comunque essere comprese tra 30 e 200 euro.

“Era dal 1999 – afferma l’assessore – che non erano soggetti a una tassazione. I frontalieri erano obbligati a pagare in Svizzera e a versare in Italia un contributo per se stessi e i familiari, poi più niente né di là né di qua dal confine”.

Sempre la Snider sottolinea che:

“Su 80.000 vecchi frontalieri (cioè coloro che tra il 2019 e il 17 luglio 2023 risiedevano fiscalmente in un Comune di frontiera, lavorando con sede in Canton Ticino, Grigioni o Vallese e praticavano il rientro giornaliero tra Italia e Svizzera) lo 0,2% ha scelto la Svizzera, gli altri l’Italia e non pagano nulla, usufruendo però del servizio”.

Il Contributo di Compartecipazione, così questa tassa è definita dal Governo, è però una questione ancora più complessa da dirimere, per l’impedimento di procedere a causa dell’ostacolo elvetico allo scambio dei dati fiscali, che non ne ha consentito l’applicazione durante il 2024.

A questo si aggiunge la recisa opposizione sindacale, che ha come punto fondante il fatto che i frontalieri contribuiscono già alla fiscalità generale con i ristorni fiscali, pari al 40% di quanto versato alla Svizzera.