Un recente e dettagliato report dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) getta un'ombra lunga sul futuro socio-economico dell'Italia, delineando un quadro critico che intreccia la stagnazione salariale, un mercato del lavoro paradossale e una crisi demografica imminente. L'analisi offre dati allarmanti e previsioni che richiedono un'attenta riflessione sulle politiche strategiche del Paese.
SALARI REALI
È stato già affrontato l’argomento da Ore12 con ampio anticipo [ https://www.ore12web.it/2025/06/25/economia-stipendi-italiani-salari-fermi-crescita-2025/ ] rispetto alla relazione dell’OCSE. Il punto di partenza dell'analisi è il potere d'acquisto dei lavoratori italiani. All'inizio del 2024, i salari reali – ovvero le retribuzioni al netto dell'inflazione – risultavano diminuiti del 7,5 per cento rispetto ai livelli pre-crisi inflazionistica del 2021. Questo dato non è soltanto negativo in sé, ma posiziona l'Italia all'ultimo posto tra tutti i Paesi membri dell'OCSE, segnando la peggiore performance registrata.
Sebbene negli ultimi dodici mesi si sia osservato un consistente recupero, guidato principalmente dal rinnovo di importanti contratti collettivi, questo aumento non è sufficiente a invertire la tendenza. Esso, infatti, rappresenta solo un parziale recupero da una situazione che, un anno fa, era ancora più grave. Il dato di fondo rimane quello di una perdita strutturale del potere d'acquisto.
Le proiezioni future non lasciano spazio all'ottimismo. Si prevede che i salari nominali in Italia cresceranno del 2,6 per cento nel corso di quest'anno e del 2,2 per cento nel 2026. Queste cifre, tuttavia, sono inferiori alle previsioni di crescita degli altri Paesi industrializzati. Di conseguenza, anche se l'inflazione attesa (2,2 per cento nel 2024 e 1,8 per cento nel 2026) dovesse consentire un lieve recupero reale, il divario tra le retribuzioni italiane e quelle del resto del mondo sviluppato è destinato ad allargarsi ulteriormente.
NUMERI CHE NASCONDONO FRAGILITÀ
A fronte di un quadro salariale così debole, i dati sull'occupazione possono apparire fuorvianti. Il tasso di occupazione in Italia ha raggiunto il livello record del 62,7 per cento. Tuttavia, questa cifra, spesso presentata come un successo, nasconde due criticità fondamentali: il tasso di occupazione italiano rimane significativamente inferiore alla media dei Paesi OCSE e l'aumento è in gran parte attribuibile all'innalzamento dell'età pensionabile, che trattiene le persone nel mercato del lavoro più a lungo, piuttosto che a una massiccia creazione di nuovi posti di lavoro.
Parallelamente, il tasso di disoccupazione, pur essendo sceso al 6,5 per cento, resta ben al di sopra della media OCSE (4,9 per cento), confermando la persistente difficoltà del sistema economico nel generare piena occupazione.
IL VERO NODO STRUTTURALE
È sulle previsioni a lungo termine che l'OCSE lancia l'allarme più grave. Entro il 2060, si stima che la popolazione italiana in età lavorativa (15-64 anni) subirà una contrazione drastica del 34 per cento.
Le implicazioni per la sostenibilità del sistema pensionistico e del welfare sono enormi. L'indice di dipendenza strutturale, che misura il rapporto tra popolazione non attiva (giovani e anziani) e popolazione attiva, è destinato a esplodere. Si passerà dall'attuale rapporto di circa una persona a carico ogni 2,4 lavoratori a un insostenibile rapporto di una persona a carico ogni 1,3 lavoratori.
Questo squilibrio alimenta anche una crescente disparità intergenerazionale. Se nel 1995 le retribuzioni dei giovani lavoratori italiani erano mediamente superiori dell'1 per cento a quelle dei lavoratori più anziani, nel 2016 la situazione si era già completamente capovolta, con gli "over 55" che godevano di retribuzioni superiori del 13,8 per cento rispetto agli "under 25". Senza un'inversione di tendenza nella crescita salariale, il futuro economico delle nuove generazioni appare estremamente precario.
LE PROSPETTIVE
L'invecchiamento demografico non è solo un problema italiano, ma una sfida per l'intera area OCSE, dove si rischia una riduzione del PIL pro capite fino al 40 per cento entro il 2060. Se la popolazione invecchia e la forza lavoro si riduce, la capacità di un'economia di generare ricchezza per singolo individuo è destinata a diminuire.
Per mantenere in equilibrio il sistema, l'OCSE indica una direzione chiara e, a suo dire, inevitabile. Utilizzando le parole del report: "Le politiche del lavoro devono evolvere per aiutare i lavoratori a rimanere più a lungo nel mondo del lavoro".
In termini concreti, questo si traduce nella necessità di posticipare ulteriormente l'età pensionabile. Secondo l'organizzazione, qualsiasi altra scelta non sarebbe economicamente sostenibile, poiché solo un prolungamento della vita lavorativa può bilanciare l'impatto negativo dell'invecchiamento sulla crescita economica.
UNA SFIDA DA AFFRONTARE NELL'IMMEDIATO
La fotografia scattata dall'OCSE non è una semplice previsione, ma un appello urgente alla politica e alle parti sociali. I problemi evidenziati – salari stagnanti, occupazione fragile e declino demografico – non sono sfide separate, ma facce interconnesse di un'unica, grande crisi strutturale. Affrontarla richiede una visione a lungo termine e riforme coraggiose che vadano oltre la gestione dell'ordinario, per garantire non solo la sostenibilità dei conti pubblici, ma anche un futuro di crescita e equità per le prossime generazioni.