Quel che accade in Medio Oriente, con Israele che sta portando la sua azione militare ben oltre la giustificata reazione militare all'attacco del 7 ottobre, ha provocato una ondata di generalizzate proteste, che ormai occupano le cronache di mezzo mondo, spesso connotate da una deriva violenta in cui i fatti di Gaza City, alle fine, diventano un pretesto per attaccare i governi di turno.
Parliamo del mondo che attacca Israele accusandolo di politiche genocidarie, per le conseguenze tragiche sulla popolazione civile della Striscia, con decine di migliaia di morti, per gli effetti materiali del conflitto e per la mancanza di cibo e cure mediche.
Dall'inizio della risposta armata di Israele all'attacco del 7 ottobre del 2023 (attuato, da Hamas e da altre formazioni islamiste armate, con il massacro di civili, stanati casa per casa, ed esecutati; rapimenti, con violenze e privazioni di ogni genere per gli ostaggi) è stato un crescendo di manifestazioni che hanno avuto, come diretto bersaglio, il governo di Benjamin Netanyahu, per poi virare verso una generalizzata esecrazione per tutto il Paese. Si è cioè accomunato, nell'odio, chi governa e chi è governato, pure se l'opposizione all'esecutivo di estrema destra è oggetto di continue e sempre più partecipate manifestazioni di condanna in Israele, significativamente avendo idealmente alla testa le famiglie degli ostaggi, ancora vivi o già morti, con i resti usati come merce di scambio.
Il sottile confine tra anti-semitismo e anti-ebraismo
Tra gli analisti, i politologi e i semplici osservatori, l'interrogativo che ha preso piede, in sede di commenti, è come o perché la riprovazione contro le scelte del governo Netanyahu si sia allargata a macchia d'olio all'intero Israele, unendo un popolo nelle colpe dei singoli, pur essendo essi i governanti, eletti democraticamente, quindi rappresentanti di una parte corposa della società.
Un interessante punto di vista che si inserisce nel dibattito è quello di uno storico statunitense, Mark Mazower, che, nel suo libro On Antisemitism: A Word in History, esamina l'antico fenomeno dell'odio antiebraico e l'emergere di una parola per definirlo.
Mazower, professore di Storia alla Columbia University, parte dalla sconfitta di Hitler che, però, non pose fine ai pregiudizi contro gli ebrei, e non solo in Germania. Con il Terzo Reich che, a giudizio dello storico, "screditò l'antisemitismo come programma positivo per i decenni a venire".
Al di là del fatto che le parole usate da Mazower che fanno sembrare la presa di coscienza nei confronti dell'Olocausto più l'effetto di una politica che un imperativo morale, lo storico parla del sentimento antiebraico, cresciuto e calato nel giro di poco tempo.
La gente non ha insomma smesso di odiare gli ebrei dopo il 1945, con la scoperta delle nefandezze del nazismo, ma ne ha fatto una valutazione di merito, abbandonando le manifestazioni chiassose dell'antisemitismo.
Ma, se gli atti di violenza che hanno avuto come bersaglio gli ebrei – a partire dal Medio Evo, passando per i pogrom russi e sovietici, sino agli atti terroristici contro Israele – appartengono ad una categoria di storia cronachistica, hanno connotazioni diverse dalla catalogazione religiosa e ideologica, in contesti anche economici e politici, rendendo arduo il lavoro di cercare di trovare una singola secca definizione che riassuma tutto.
L'antisemitismo, come parola, nasce nella Germania della fine del XIX secolo, frutto del clima politico di quel tempo, intriso di un nazionalismo che non poteva accettare che, dentro il corpo dello Stato, esistesse una comunità con sue regole e suoi propositi, difficilmente collocabili nella dialettica della comunità.
Per Mazower è importante distinguere questa relativamente recente aggregazione di sentimento antiebraico come motore dell'attivismo politico dalle precedenti manifestazioni di animosità, mostrandosi critico con la tendenza di trattare l'antisemitismo come fenomeno antico quanto l'ebraismo stesso, evitando quindi di cadere nell'idea che salda i fenomeni politici moderni con i racconti scritturali e liturgici che parlano delle sofferenze e delle persecuzioni del ''popolo di Dio''.
Un passaggio interessante del libro dello storico è quello che riporta il suo ragionamento alla creazione dello Stato di Israele, nel 1948, che divenne argomento importante non solo più per un popolo, ma per un'intera area geografica. Mazower ricorda che fino a quando non fu creato lo Stato con un tratto di penna sulla cartina, Israele per gli ebrei non aveva una collocazione fisica, inseguendo comunque i sogni di Theodore Herzl, padre del sionismo politico.
Oggi, con un governo di estrema destra, nazionalista e radicale, Israele è quanto mai vicino a quel sogno.
Mazower, nel suo libro, nell'elencare le motivazioni dell'opposizione allo Stato di Israele oggi, cerca di definire il punto di passaggio tra la condanna politica e l'antisemitismo. Ovvero, si può anche esprimere la giusta condanna per le politiche del governo di Israele (quelle di oggi, ma anche guardando al passato) senza per questo finire a utilizzare il trito argomento del complotto ebraico planetario, tanto caro a chi, partendo dai falsi Protocolli dei savi di Sion, vede l’impronta israelita in ogni nefandezza del mondo.