Il silenzio eloquente della Fed: quando gli sguardi rivelano ciò che le parole tacciono
Al di là della retorica formale dei comunicati stampa, la verità spesso si manifesta in dettagli più sottili. Durante la recente conferenza stampa della Federal Reserve, in seguito alla decisione sul taglio dei tassi, l'espressione di Jerome Powell era quella di chi avesse riconosciuto una realtà ineludibile. Le sue dichiarazioni, seppur misurate e caute, hanno confermato un alleggerimento della politica monetaria, con un taglio di 25 punti base. Tuttavia, il significato profondo va oltre la mera entità del "taglietto". Nonostante un'economia che in superficie appare resiliente, il presidente della Banca Centrale americana ha implicitamente riconosciuto l'addensarsi di nubi all'orizzonte. Con un'aria di rassegnazione, ha ammesso che, nel breve termine, i rischi per l'inflazione sono in aumento, mentre quelli per l'occupazione tendono al ribasso.
Il dilemma della Fed: inflazione in aumento e occupazione in calo
Questa ammissione, tradotta dal linguaggio tecnico dei banchieri centrali, rivela una situazione di stallo: la Fed si trova intrappolata in un dilemma. Un aumento dei tassi per contenere l'inflazione rischierebbe di compromettere l'occupazione e innescare una recessione. Al contrario, un taglio dei tassi per sostenere il mercato del lavoro potrebbe alimentare ulteriormente la pressione inflazionistica.
Si tratta di una svolta significativa, che ci impone di ripercorrere le dinamiche decisionali all'interno della Federal Reserve. Fino a pochi mesi fa, l'ipotesi di un taglio dei tassi era considerata impensabile. Eppure, il quadro è mutato. L'inflazione si avvicina nuovamente al 3 per cento, i dati occupazionali vengono costantemente rivisti al ribasso e il dollaro mostra segni di indebolimento. La gravità della situazione è palesemente illustrata nelle stesse proiezioni della banca centrale, in particolare nel cosiddetto "dot plot chart".

Il Dot Plot Chart (Grafico a punti) è un grafico pubblicato dalla Fed che mostra le previsioni anonime di ciascun membro del comitato decisionale riguardo al futuro andamento dei tassi di interesse. Ogni "punto" sul grafico rappresenta la previsione di un membro. È uno strumento utile per capire le intenzioni future della banca centrale. Da questo grafico emerge che la Fed si aspetta di tagliare i tassi di altri 50 punti base (0,50 per cento) entro il 2025, perché la disoccupazione comincia a spaventarla. Il loro piano è tagliare aggressivamente quest'anno per poi "vedere che cosa succede".
Ma è proprio dal dot plot chart che si capisce che il caos regna sovrano. Guardando i puntini, che rappresentano le previsioni di ogni membro votante, si scopre che: uno di loro voleva addirittura alzare i tassi di interesse; sei volevano mantenerli fermi; nove volevano altri due tagli, e poi c'è pure un dissidente (probabilmente il nuovo membro nominato da Trump) che voleva l'equivalente di cinque tagli entro la fine del 2025. Non è lezioso credere che all'interno della Fed è in corso una vera e propria guerra civile.
Il dilemma della fed e i segnali confusi dei mercati
Il recente taglio dei tassi d'interesse da parte della Federal Reserve, sebbene sembri una mossa per aiutare l'economia, sta generando effetti inattesi e un senso di sfiducia tra gli investitori più esperti. Mentre i mercati avrebbero dovuto reagire positivamente, i grandi fondi ("smart money") stanno invece scommettendo sul ribasso, posizionandosi in modo difensivo. Questo è particolarmente evidente nel settore delle piccole imprese americane (Russell 2000), dove si registrano scommesse contro l'economia a livelli quasi record.
Si sta creando un paradosso nel mercato: da un lato, gli investitori professionali sono preoccupati per una possibile recessione, interpretando i segnali economici come negativi. Dall'altro, una nuova ondata di piccoli investitori, spesso spinti da logiche di rischio elevato ("YOLO") - (You Only Live Once), un motto diffuso tra i giovani investitori online che giustifica scelte di investimento ad altissimo rischio, spesso più guidate dall'emozione della scommessa che da una strategia ponderata -, sta ignorando i titoli tradizionali e investendo in azioni meno conosciute ma molto speculative ("moonshot"), gonfiandone il valore.
I mercati obbligazionari: la bussola che non mente
I veri indicatori della salute economica sono i mercati obbligazionari, che non speculano e riflettono la realtà. La Fed controlla i tassi a breve termine (il costo del denaro tra le banche), e quando li taglia, ci si aspetterebbe che tutto diventi più economico. Invece, i tassi a lungo termine – quelli che contano davvero per mutui e prestiti alle aziende – sono saliti. Questo accade perché i mercati prevedono più spesa pubblica, più debito e, quindi, più inflazione futura. Chi presta denaro a lungo termine chiede di essere protetto da questa inflazione, aumentando il tasso di interesse.
Storicamente, dopo un taglio dei tassi Fed, l'indice S&P 500 tende a salire. Ma se questa crescita è dovuta solo al tentativo disperato della Fed di sostenere un'economia debole stampando denaro, non è una vera ricchezza, ma un'illusione. In questo scenario, non saranno le azioni tecnologiche a brillare, ma i beni rifugio reali, come l'oro e il Bitcoin, che non possono essere creati dal nulla.
Il mandato dimenticato e le prossime mosse della Fed
Oltre ai noti obiettivi di massima occupazione e stabilità dei prezzi, la legge assegna alla Fed un terzo mandato: mantenere tassi d'interesse a lungo termine moderati. Inoltre, la Fed ha il compito di aumentare la massa monetaria in linea con la crescita economica, ma in pratica, questo impedisce ai cittadini di diventare più ricchi con il progresso tecnologico. Interpretando la "stabilità dei prezzi" come un 2 per cento di inflazione, la Fed assicura una costante perdita di potere d'acquisto, trasferendo silenziosamente ricchezza al governo.
Il vero problema è che la Fed non controlla direttamente i tassi a lungo termine. E visto che il suo "trucco" di tagliare i tassi a breve termine non funziona più per tenere bassi quelli a lungo termine, dovrà ricorrere a misure più drastiche per rispettare il suo mandato.
Le opzioni sono due:
Quantitative Easing (QE): La Fed comprerà direttamente titoli di stato a 10 anni con denaro "creato dal nulla", aumentando la domanda e abbassando i rendimenti.
Manovra del Tesoro: Il governo emetterà molto debito a breve termine per riacquistare e ritirare quello a lungo termine. È come fare un nuovo debito a breve per pagare un vecchio debito a lungo: non riduce il debito totale, ma lo sposta.
Entrambe le strade portano al "Controllo della Curva dei Rendimenti" (Yield Curve Control), una strategia già usata dalla Fed tra il 1942 e il 1951 per finanziare la guerra. In pratica, si costrinsero i risparmiatori a finanziare il debito pubblico perdendo potere d'acquisto, mantenendo i tassi a lungo termine artificialmente bassi e inferiori all'inflazione.
In sintesi, la Federal Reserve si trova oggi in una posizione estremamente delicata: le sue mosse tradizionali non producono più gli effetti desiderati e i mercati inviano segnali contrastanti. La necessità di mantenere tassi a lungo termine moderati, unita all'implicita erosione del potere d'acquisto, suggerisce che la Fed potrebbe essere costretta a interventi sempre più diretti sul mercato obbligazionario, rievocando strategie già viste in tempi di crisi per riprendere il controllo, con conseguenze significative per tutti.