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Miss Finlandia e l’illusione della bellezza, nel 2025 le donne meritano più di una corona

 
Miss Finlandia e l’illusione della bellezza, nel 2025 le donne meritano più di una corona
di Katrin Bove

La vicenda che arriva dalla Finlandia non è tanto una storia di indignazione quanto l’ennesima dimostrazione di come l’ironia maldestra sui social possa accendere riflettori che, forse, andrebbero puntati altrove. A far discutere non è soltanto la foto in cui Miss Finlandia 2025, Sarah Dzafce, imita con leggerezza gli “occhi asiatici”, gesto poi ripreso con superficialità anche da alcuni parlamentari del Paese, quanto il contesto stesso in cui tutto questo accade, un concorso di bellezza. Un meccanismo che continua a funzionare come se il mondo non fosse cambiato, come se il valore di una persona potesse ancora essere riassunto in una fotografia, in un profilo armonioso, in una misura corporea.

Alla vigilia del 2026, sorprende che ci sia ancora chi gareggia per un titolo costruito su parametri estetici che nessuna cultura può pretendere di universalizzare. La bellezza è mutevole, soggettiva, figlia di epoche, mode, desideri sociali. Eppure si continua a premiarla come se fosse una verità assoluta, come se esistesse davvero una donna “più bella” delle altre. È un retaggio antico che sopravvive sotto la superficie patinata dei palchi, una tradizione che si spaccia per valorizzazione femminile quando, in realtà, non fa che ridurre la donna a oggetto di osservazione, valutazione, classificazione.

L’ironia maldestra di una Miss che gioca con tratti somatici altrui diventa così la punta dell’iceberg di un sistema che continua a incoraggiare la performatività dell’apparire. Non ci si scandalizza della leggerezza del gesto, ci si interroga sul terreno culturale che lo rende possibile. Una giovane donna cresciuta all’interno di un modello che la giudica, la misura, la compara, non può non interiorizzare l’idea che il corpo sia un linguaggio, un mezzo, talvolta perfino un’arma. A quel punto la linea tra innocenza e superficialità diventa sottilissima.

Nel 2025, la donna dovrebbe essere molto più di un'immagine filtrata. Eppure i concorsi di bellezza continuano a riproporre la stessa scenografia di sempre, la sfilata, le luci, il pubblico che osserva, la giuria che decide, la corona che consacra. In quella ritualità impeccabile c’è però tutto ciò da cui stiamo cercando di emanciparci. Perché mentre in molti ambiti sociali si combatte per la parità, per il riconoscimento del merito, per l’autodeterminazione, sul palco dei concorsi la persona scompare e resta solo il corpo. E non c’è nulla che una corona possa fare per restituirle profondità.

Il problema non è la bellezza. Il problema è la gerarchia della bellezza. È l’idea che qualcuno, da qualche parte, possa decidere quale sia la forma ideale dell’essere donna. È l’idea che una ragazza debba competere non con la propria intelligenza, la propria sensibilità o il proprio talento, ma con il suo aspetto, con qualcosa che non ha scelto e che non può determinare fino in fondo. È un paradosso doloroso, soprattutto in un tempo in cui l’oggettificazione femminile è ancora uno dei nodi più difficili da sciogliere.

Quando si parla di empowerment, si continua a ripetere che la donna deve essere libera. Ma come può esserlo se continua a essere osservata come un prodotto? Come può esserlo se la sua visibilità pubblica passa attraverso la sua aderenza a un modello estetico? Come può esserlo se, ancora oggi, il primo parametro con cui viene valutata è l’apparire? La cultura machista non è fatta solo di violenza o prevaricazione. È fatta anche di simboli che rinnovano, giorno dopo giorno, l’idea che la donna sia prima un corpo e poi tutto il resto.

Ed è proprio per questo che l’episodio finlandese non è una semplice leggerezza social, ma il segnale di un sistema che dovrebbe essere finalmente ripensato. Non serve abolire i concorsi, ma trasformarli. Occorre svincolarli dalla logica della “più bella”, perché quel titolo non dice nulla di una donna, della sua storia, delle sue capacità, della sua visione. Occorre premiare i talenti, le idee, la capacità di contribuire alla società. La bellezza può essere celebrata, certo, ma non può essere un parametro di merito. L’essenza, non l’apparenza. Perché non esiste nulla di più antico di una corona che definisce una donna. E non esiste nulla di più urgente del riconoscere, una volta per tutte, che la bellezza non basta. E non serve. E non rappresenta ciò che siamo davvero.