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Robot e lavoro del futuro, perché il vero rischio non è l’IA, ma chi la sa usare meglio

 
Robot e lavoro del futuro, perché il vero rischio non è l’IA, ma chi la sa usare meglio
di Luca Lippi

IL ROBOT NON TI UCCIDERÀ, IL TUO COLLEGA SÌ

Tra pochi anni assisteremo a una rivoluzione silenziosa ma inesorabile: le macchine si occuperanno delle azioni, agli esseri umani spetteranno le decisioni. Ecco perché il vero rischio non è l'intelligenza artificiale, ma il collega che la sa usare meglio di noi.
Se proviamo a immaginare il professionista di successo del 2030, non dobbiamo pensare a un super-tecnico che digita freneticamente su una tastiera, né a un operaio instancabile. Dobbiamo immaginare un regista.

La differenza fondamentale che segnerà il mercato del lavoro nei prossimi anni è sottile ma brutale: vincerà chi sa far fare le cose ai sistemi, non chi le fa in prima persona. Fino a oggi siamo stati pagati per la nostra capacità di esecuzione, per la velocità e la precisione nel portare a termine un compito. Domani saremo pagati per la nostra capacità di decidere cosa far fare alle macchine, perché farlo e, soprattutto, per assumerci la responsabilità delle conseguenze.

DA ESECUTORI A REGISTI

Il mondo del lavoro si sta spaccando in due tronconi netti. Da una parte ci sono le "mansioni": quelle attività ripetitive, misurabili e standardizzabili. Dall'altra ci sono le "funzioni": quelle aree dove servono giudizio, senso critico e capacità di relazione. Il destino delle prime è segnato: saranno progressivamente automatizzate. Le seconde, invece, resteranno squisitamente umane.

Per capire questo passaggio, pensiamo al lavoro come a un set cinematografico. La tecnologia – dai software più comuni all'intelligenza artificiale – ci fornirà gli assistenti perfetti: attori che non dimenticano le battute, luci che non si fulminano mai, scenografie pronte in un istante. Questi "assistenti silenziosi" non dormono, macinano dati e suggeriscono scorciatoie. Ma c’è qualcosa che nessun algoritmo vuole o può fare: capire il contesto, mediare tra interessi in conflitto e prendersi la colpa se qualcosa va storto.

Il lavoro del futuro sarà meno "mani sulla tastiera" e più "testa e cuore in campo". Diventerà un'attività cognitiva, relazionale e decisionale. Non servirà l'esecutore perfetto, ma un direttore d'orchestra capace di armonizzare il suono degli strumenti tecnologici.

LE NUOVE COMPETENZE INDISPENSABILI

Questa trasformazione renderà la società certamente più instabile e selettiva. Le carriere lineari, quelle in cui si iniziava e finiva nello stesso ruolo, sono già un ricordo. I ruoli diventeranno ibridi, strani, fluidi. In questo scenario, l'aggiornamento continuo non sarà più una riga in più da aggiungere al curriculum per fare bella figura, ma l'unica assicurazione sulla vita professionale: chi smette di imparare rischia l'espulsione dal mercato del lavoro e, di riflesso, dal tessuto sociale.

 

Ma quali sono, in concreto, le capacità che faranno la differenza in Italia e nel mondo?
Innanzitutto, servirà un'alfabetizzazione tecnologica reale. Attenzione: non significa che tutti dovranno diventare programmatori informatici. Significa piuttosto capire come funzionano gli strumenti, saper governare i dati e guidare i processi dell'Intelligenza Artificiale. È come guidare l'auto: non serve essere meccanici per saperla condurre nel traffico, ma bisogna conoscere il codice della strada e i comandi del veicolo.

Accanto alla tecnologia, paradossalmente, diventeranno centrali le doti più umane. Il pensiero critico sarà fondamentale per filtrare il rumore di fondo delle troppe informazioni e riconoscere gli errori dei sistemi. Serviranno competenze relazionali come l'empatia, la negoziazione e la leadership, perché le macchine non sanno gestire le emozioni delle persone. Servirà la creatività per trovare soluzioni nuove a problemi vecchi e una buona dose di elasticità mentale per adattarsi ai cambiamenti continui senza perdere la propria identità.

IL PARADOSSO DELLA TECNOLOGIA

Scorrendo le previsioni sulle competenze più richieste per il prossimo decennio, salta all'occhio un dettaglio interessante: si parla di curiosità, di gestione del talento, di motivazione e di consapevolezza di sé. Sembra un paradosso, ma più il nostro lavoro si riempie di tecnologia, più diventa necessaria la nostra umanità.

Non vincerà il più veloce o il più obbediente. Non vincerà nemmeno chi si è specializzato in una sola cosa per tutta la vita. Vincerà chi avrà una visione d'insieme.
La morale di questa storia è semplice e forse un po' provocatoria: non dobbiamo temere che la macchina ci rubi il posto. Dobbiamo temere il collega che la sa usare meglio di noi. Perché nel 2030, la differenza la farà chi saprà alzare la testa dallo schermo per guardare l'orizzonte.