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La sanità inquina: il nuovo allarme OCSE sulla necessità di decarbonizzare ospedali e forniture

 
La sanità inquina: il nuovo allarme OCSE sulla necessità di decarbonizzare ospedali e forniture
Redazione

Ospedali e catene di approvvigionamento responsabili di emissioni pari al 4,4% del totale: l’Italia senza una strategia nazionale

Il settore sanitario è da sempre percepito come il motore della salute pubblica, ma il nuovo rapporto dell’OCSE – Decarbonising Health Systems Across OECD Countries svela un volto meno noto: la sanità è anche un grande inquinatore. Secondo i dati, il 4,4% delle emissioni complessive nei Paesi OCSE deriva proprio da ospedali, farmaci, dispositivi medici e servizi sanitari. Una quota che supera quella del settore aereo, ma che fino a oggi non aveva ricevuto sufficiente attenzione politica e mediatica.

Ospedali e inappropriatezza delle cure

Gli ospedali sono responsabili di circa il 30% delle emissioni del comparto sanitario. Non sorprende, considerando l’elevato consumo energetico, l’uso intensivo di tecnologie e le lunghe degenze. Il rapporto OCSE sottolinea come una parte rilevante di queste emissioni sia legata a ricoveri evitabili e terapie inappropriate, che oltre a generare sprechi clinici ed economici, producono un impatto climatico non trascurabile.

Riorganizzare l’assistenza, spostando il baricentro dalle strutture ospedaliere al territorio e alla medicina di base, potrebbe ridurre fino a un quarto delle emissioni ospedaliere. In altre parole, appropriatezza delle cure e sostenibilità ambientale coincidono: meno sprechi sanitari, più salute e meno CO₂.

Prodotti clinici ad alto impatto: un cambio possibile

Il documento OCSE porta l’attenzione su alcuni prodotti specifici:

  • Gas anestetici: il desflurano, ad esempio, ha un impatto climatico molto più elevato rispetto ad altre alternative clinicamente equivalenti. La sua sostituzione immediata garantirebbe un abbattimento netto delle emissioni.

  • Inalatori per asma e BPCO: i dispositivi spray contenenti HFC potrebbero essere sostituiti con inalatori a polvere secca o a nebbia soffice, che hanno un’impronta climatica notevolmente inferiore senza compromessi sulla qualità terapeutica.

Nonostante queste evidenze, la valutazione ambientale dei prodotti sanitari rimane ancora parziale. Mancano dati solidi e strumenti di screening sistematico, rendendo difficile per medici e dirigenti sanitari prendere decisioni realmente informate.

Il nodo delle catene di fornitura

La parte più consistente delle emissioni – circa il 79% – non nasce dentro le mura ospedaliere, ma lungo le catene globali di fornitura di farmaci, dispositivi e servizi sanitari. Un dato che complica enormemente il problema: quasi metà delle emissioni proviene infatti da Paesi esteri, al di fuori del diretto controllo nazionale.

La pandemia da Covid-19 ha già mostrato quanto siano fragili e interdipendenti queste filiere. Oggi il report OCSE ne mette in luce anche il costo ambientale insostenibile, proponendo soluzioni come l’introduzione di criteri ambientali negli appalti pubblici (green procurement), standard condivisi e politiche internazionali coordinate per indirizzare il mercato verso produzioni a minore impatto.

Sanità e ambiente: co-benefici da cogliere

L’OCSE insiste su un concetto fondamentale: molte politiche di salute pubblica hanno effetti doppi, generando benefici sanitari e ambientali allo stesso tempo. Alcuni esempi:

  • Diete sostenibili, ricche di vegetali, potrebbero ridurre le emissioni di oltre 300 MtCO₂eq all’anno, equivalenti a togliere 72 milioni di auto dalle strade, e prevenire fino a 27mila morti l’anno per tumori.

  • Trasporto attivo (camminare, andare in bicicletta) e riduzione dell’inquinamento atmosferico riducono i rischi cardiovascolari, abbassando al tempo stesso l’impronta climatica.

Questi dati mostrano chiaramente che politiche ambientali e sanitarie possono marciare insieme, migliorando la salute dei cittadini e proteggendo il pianeta.

L’Italia: tra iniziative locali e mancanza di strategia nazionale

In Italia il tema della decarbonizzazione della sanità è ancora in fase embrionale. Alcune iniziative locali, come l’efficientamento energetico degli ospedali o i progetti finanziati dal PNRR in edilizia sanitaria, rappresentano segnali importanti ma isolati.

Il nostro Paese continua a mancare di una strategia nazionale organica che affronti in maniera sistemica il contributo del Servizio sanitario nazionale alle emissioni di gas serra. Secondo le stime OCSE, il profilo emissivo italiano è in linea con quello degli altri Paesi membri: un terzo delle emissioni deriva dagli ospedali, mentre la quota restante si concentra su farmaci e dispositivi, spesso importati dall’estero.

Le leve d’intervento sono già sul tavolo:

  • Ridurre i ricoveri inappropriati e potenziare la medicina territoriale.

  • Promuovere scelte cliniche più sostenibili (gas anestetici e inalatori a basso impatto).

  • Introdurre criteri ambientali vincolanti negli appalti sanitari.

  • Usare i fondi del PNRR per costruire ospedali low carbon e resilienti. 

Il messaggio del rapporto OCSE è inequivocabile: la sanità deve diventare parte della soluzione climatica, non del problema. Continuare a ignorare l’impatto ambientale del settore significa tradire la missione stessa del sistema sanitario, cioè tutelare la salute delle persone.

La vera sfida è politica e culturale: trasformare ospedali, forniture e pratiche cliniche in chiave green non è un lusso, ma un’urgenza. In gioco non c’è solo la qualità dell’ambiente, ma anche la sostenibilità economica e sociale della sanità italiana ed europea.