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Il capotreno che fece scendere un passeggero ora deve pagare 15 mila euro di spese legali

 
Il capotreno che fece scendere un passeggero ora deve pagare 15 mila euro di spese legali
Redazione

È una storia singolare, quasi paradossale: un capotreno veneto, dopo aver fatto scendere un passeggero con un biglietto non valido, si ritrova a pagare 15 mila euro di spese legali, nonostante il processo si sia chiuso senza colpe. L’episodio risale al 2018, sulla linea regionale di collegamento con Belluno e riguarda un dipendente di Mestre in servizio su un convoglio Trenitalia.

Capotreno fa scendere passeggero: ora deve pagare le spese legali

Come riferisce il Corriere del Veneto, Durante un normale controllo, l’uomo si accorse che un passeggero viaggiava con un titolo di viaggio irregolare e lo invitò a scendere alla stazione di Santa Giustina Bellunese.

Quel gesto si trasformò in un caso giudiziario. Il capotreno fu infatti accusato di violenza privata, un reato che comporta pene penali. Dopo una lunga vicenda processuale, il procedimento è terminato con la prescrizione: il lavoratore non è stato condannato, ma nemmeno risarcito. Oggi deve sostenere da solo le spese legali. Né Trenitalia né la Regione Veneto, che in passato avevano espresso solidarietà, si sono fatte carico dell’importo. Il sindacato Filt Cgil Venezia ha espresso «sconcerto e amarezza» per questa scelta, ricordando che il dipendente «aveva solo applicato le regole».

Un caso simile si era già verificato nel 2014, quando un altro capotreno veneto era stato condannato (pena sospesa) per aver fatto scendere un passeggero senza biglietto. Anche allora la vicenda fece molto discutere, tanto che il presidente Luca Zaia espresse «piena solidarietà» al ferroviere, considerato ingiustamente punito per aver svolto il proprio lavoro (La Stampa).

Questa nuova vicenda riporta in primo piano un nodo delicato: chi tutela i lavoratori dei trasporti quando, nel fare il proprio dovere, finiscono sotto processo? Le regole di Trenitalia prevedono che chi è senza biglietto o con biglietto non convalidato debba pagare la tariffa e una sanzione, ma non si è mai chiarito fino a che punto il personale possa spingersi nel far rispettare la norma.

Il caso del capotreno di Mestre fa riflettere perché dimostra quanto sia sottile il confine tra il rispetto delle regole ed il rischio di finire nei guai per averle applicate. Il lavoratore, oggi, non ha più accuse pendenti, ma resta un debito pesante sulle sue spalle. Il sindacato teme che una vicenda del genere possa scoraggiare altri dipendenti dal far rispettare le norme di viaggio. Come ha dichiarato la Filt Cgil: «È inaccettabile che chi fa il proprio dovere finisca punito due volte, prima con un processo e poi con il conto da pagare».

Una storia che sembra quasi incredibile, ma che è vera. E che solleva una domanda semplice e amara: in treno, chi controlla i biglietti, chi controlla davvero la giustizia?