FOTO (Cropped): Laky 1970 - CC BY-SA 4.0
Se è vero che tra i prossimi ospiti di ''Belve'', la trasmissione di Francesca Fagnani, su Rai2, ci sia anche Rita De Crescenzo, quella che si è vantata di avere fatto invadere Roccaraso da migliaia di campani solo con la forza dei suoi video, la sola considerazione che si può fare, e che non intacca certo la professionalità della giornalista, è che ormai il processo di volgarizzazione del servizio pubblico è completa.
Ma la Rai fa crescere culturalmente gli italiani facendosi vessillifera del trash?
Ma non nel senso che al termine ''volgarizzare'' dà la Treccani (''esporre problemi di scienza e cultura specialistica in forma facile e piana, in modo da renderli accessibili a larghi strati di persone prive di una preparazione specifica'' e ''tradurre dal latino o dal greco in un volgare neolatino: nel tardo medioevo la maggior parte degli autori latini conosciuti furono volgarizzati in lingua d’oïl e d’oc, in spagnolo e in italiano''). Ma perché è l'ultimo gradino, quello più in basso, di un disinteresse della Rai di farsi portavoce di un messaggio culturale che, non da solo, ma insieme ad altri contenuti più ''leggeri'', deve fare parte dell'offerta proposta ai telespettatori.
La Rai sta segnando un declino evidente e, piuttosto che raccogliere la sfida delle televisioni commerciali sul piano del puro intrattenimento, le insegue cercando solo di attrarre audience proponendo l'esatto contrario di quel che invece dovrebbe essere il solo mandato del servizio pubblico: istruire, informare, aiutare lungo il cammino della conoscenza per formarsi un giudizio.
''La Rai - si legge nella premessa del contratto di servizio - deve assicurare ai cittadini utenti un’offerta complessiva di servizio pubblico rilevante, ossia di valore per il benessere e la vita degli utenti, inclusiva, ossia accessibile a tutti e attenta ai bisogni di ognuno, sostenibile, perché promuove la sensibilità ambientale, le competenze digitali, responsabile nei suoi contenuti editoriali, anche in quelli di intrattenimento, e credibile nella sua informazione e nel suo rapporto con il cittadino utente''.
Tutto questo la Rai non lo fa e se è vero che sullo sgabello di ''Belve'' siederà la sintesi del trash, il compendio dell'ignoranza, il riassunto dell'imbarbarimento della televisione, la rappresentazione plastica del potere dell'immagine, allora significa che quel contratto di servizio che la lega allo Stato comincia a non avere più ragione di essere.
Ogni governo che arriva tra le priorità che si pone, a parole, c'è quella di allentare la presa, anzi lo strangolamento della politica sulla Rai, da sempre terreno di scorribande, per consentire a chi regge le leve del potere di essere ancora più forte. Tra le strade che si percorrono ci sono quella della presa militare dell'informazione pubblica, affidandola a chi dà più garanzie al capataz politico del momento, insieme ad un'altra, quella di cloroformizzare il teleutente, di creare, nel suo cervello, per effetto della reiterazione delle notizie e degli argomenti, un effetto narcotizzante delle coscienze.
Un meccanismo che porta all'assuefazione, per la quale vedere che le trasmissioni del pomeriggio trasudano della cronaca nera più intrisa di sangue e violenza diventa la normalità e, quando magari si parla di un libro, di una pièce teatrale, di un film che pone interrogativi seri, nel cervello scatta un meccanismo di ripulsa, quasi che la cultura sia diventato un ''bug'' nella nostra mente.
E poi, altra considerazione banale, a nessuno viene il dubbio che invitare personaggi controversi non fa che accrescerne la fama, in un senso o nell'altro?
Alle fine degli anni '80, la Rai - ebbene sì, faceva anche questi spettacoli, nonostante solerti funzionari mettessero bocca su tutto - propose, per due stagioni, un programma a cura di due bravissimi giornalisti, come ce n'erano a quel tempo, Brando Giordani ed Emilio Ravel. Si chiamava Odeon, e il titolo era completato da poche, semplici parole, ''Tutto quanto fa spettacolo'', dove si parlava di tutto, dal cinema al teatro.
Ecco, se è vero che tutto quanto fa spettacolo, si possono anche capire le scelte della Rai di oggi. Capire, ma non condividerle e, come nel caso di ''Belve'', non accettarle. Basta cambiare canale.