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Obesità riconosciuta come malattia: una svolta storica per milioni di italiani

 
Obesità riconosciuta come malattia: una svolta storica per milioni di italiani
di Sofia Diletta Rodinò

Con la legge Pella l’Italia è il primo Paese al mondo a dichiarare l’obesità una malattia cronica. Tra nuove linee guida, farmaci innovativi e formazione medica, la professoressa Esmeralda Capristo (Gemelli) spiega cosa cambierà davvero per i pazienti.

Un riconoscimento che cambia la storia della salute pubblica

Da oggi l’obesità non è più solo una condizione o uno stile di vita, ma una malattia cronica, progressiva e recidivante, riconosciuta ufficialmente per legge. Con l’approvazione definitiva del Ddl 1483, noto come legge Pella, l’Italia segna un primato mondiale: è il primo Paese al mondo a inserire l’obesità tra le patologie riconosciute dallo Stato.
Un passo atteso da anni da specialisti e associazioni di pazienti, che cambia radicalmente la percezione di un disturbo che oggi riguarda oltre 6 milioni di italiani.

È un riconoscimento di dignità e un’arma contro lo stigma – spiega la professoressa Esmeralda Capristo, direttore della UOS di Medicina della grande obesità del Policlinico Gemelli IRCCS e docente di Scienza dell’Alimentazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore –. Finalmente i pazienti non saranno più considerati responsabili della loro condizione, ma portatori di una patologia complessa, con basi genetiche, ambientali e metaboliche”.

Cosa cambia concretamente per i pazienti

Il cambiamento, almeno all’inizio, sarà più concettuale che pratico, ma non per questo meno importante.
“Da domani – precisa la Capristo – non ci sarà ancora la rimborsabilità automatica dei nuovi farmaci anti-obesità, ma il riconoscimento legale della malattia apre la strada all’inserimento dell’obesità nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). È il primo passo verso la possibilità di esenzione dalla spesa sanitaria e l’accesso garantito ai nuovi trattamenti”.

Tra gli obiettivi principali della nuova normativa c’è infatti quello di rendere accessibili le terapie farmacologiche di ultima generazione, come la tirzepatide e la semaglutide, due molecole che stanno rivoluzionando l’approccio clinico alla perdita di peso.
Questi farmaci agiscono sui recettori del GLP-1 e del GIP, regolando appetito e metabolismo in modo più efficace rispetto alle terapie tradizionali. Tuttavia, il loro alto costo e la necessità di un uso prolungato o continuativo ne rendono ancora difficile l’accesso per molti pazienti.

Terapie innovative ma costose: la sfida della sostenibilità

“Le nuove terapie – spiega la professoressa Capristo – non sono solo strumenti per ridurre il peso corporeo, ma veri e propri farmaci di prevenzione contro le complicanze più gravi: diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, respiratorie e osteoarticolari. Ma servono medici formati, capaci di gestire questi trattamenti nel lungo periodo, e soprattutto un sistema sanitario che ne sostenga economicamente l’uso”.

La legge Pella, dunque, rappresenta anche una svolta politica e culturale: mette al centro la prevenzione e l’equità terapeutica, richiamando l’urgenza di investire nella formazione del personale sanitario – medici, infermieri, dietisti, psicologi – e nella creazione di centri multidisciplinari dedicati.

Le nuove linee guida europee: un cambio di paradigma

Proprio nei giorni del Congresso della Società Italiana dell’Obesità (SIO), tenutosi a Trieste dall’1 al 4 ottobre, è stata pubblicata su Nature Medicine la nuova edizione delle linee guida europee dell’EASO (European Association for the Study of Obesity).
Si tratta di un documento fondamentale che ridefinisce le priorità cliniche nella gestione dell’obesità.

Secondo la professoressa Capristo, “le nuove linee guida distinguono due categorie principali di condizioni correlate all’obesità:

  • le malattie da eccesso di massa grassa, come la sindrome delle apnee ostruttive del sonno e l’osteoartrosi di anca e ginocchio, che limitano la mobilità e compromettono la qualità di vita;

  • e le malattie da grasso ‘malato’ (sick fat disease), come diabete, disturbi epato-metabolici (MASH) e patologie cardiovascolari”.

Un aspetto innovativo delle linee guida è la crescente attenzione al grasso viscerale – il cosiddetto “grasso addominale” – che rappresenta un fattore di rischio indipendente anche in pazienti con BMI inferiore a 35. “Il parametro più utile – aggiunge Capristo – è oggi il rapporto tra circonferenza vita e altezza, un indice semplice ma predittivo di rischio metabolico”.

Il ruolo cruciale del team multidisciplinare

L’obesità, sottolineano gli esperti, è una malattia complessa che richiede un approccio integrato.
“Il paziente obeso non ha bisogno solo di perdere peso – continua la Capristo – ma di essere seguito nel suo percorso di cambiamento, nella gestione del rischio cardiometabolico, nella motivazione psicologica e nella capacità di mantenere i risultati nel tempo”.

Nei centri specializzati come il Gemelli, il team multidisciplinare comprende internisti, endocrinologi, nutrizionisti clinici, dietisti, psicologi, psichiatri, chirurghi e endoscopisti bariatrici, oltre a consulenti esperti in cardiologia, pneumologia e ortopedia.
“Solo così – conclude l’esperta – si può garantire una presa in carico globale e duratura”.

Farmaci efficaci ma da gestire con cautela

I nuovi farmaci anti-obesità hanno un profilo di sicurezza favorevole, ma non sono esenti da effetti collaterali, soprattutto gastrointestinali.
“La nausea è il più frequente – precisa la Capristo – ma in genere è lieve e transitoria. Può comparire anche diarrea o stipsi, ma tutto dipende da una corretta titolazione del dosaggio e da una adeguata educazione alimentare”.

Per questo motivo i farmaci devono essere prescritti solo da specialisti esperti, che conoscano a fondo i meccanismi d’azione e seguano da vicino il paziente.
“È fondamentale – aggiunge – spiegare al paziente come adattare la dieta al farmaco, evitando pasti abbondanti e cibi elaborati. Idratarsi, aumentare le fibre e mantenere una comunicazione costante con il medico sono elementi chiave per tollerare al meglio la terapia”.

Verso una nuova cultura della cura

Il riconoscimento dell’obesità come malattia rappresenta una svolta non solo medica ma culturale.
Per anni, infatti, l’obesità è stata percepita come una condizione “autoindotta”, spesso stigmatizzata e banalizzata. Oggi, grazie alla legge e al progresso scientifico, l’Italia lancia un messaggio chiaro: curare l’obesità significa tutelare la salute pubblica.

“È un traguardo che cambierà la vita di milioni di persone – conclude la Capristo – ma anche un punto di partenza. Dobbiamo continuare a lavorare su prevenzione, formazione e accesso equo alle cure, perché l’obesità non è una colpa, ma una malattia che va trattata con rispetto e competenza”.